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Emissioni elettromagnetiche del 5G e rischi per la salute

Di Alessandro Polichetti, Istituto Superiore di Sanità

Centro Nazionale per la Protezione dalle Radiazioni e Fisica Computazionale, Istituto Superiore di
Sanità, Roma

La prossima introduzione della tecnologia di telefonia mobile di quinta generazione (5G) darà
luogo a nuovi scenari di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza
che saranno emessi in bande di frequenza (694-790 MHz, 3,6-3,8 GHz e 26,5-27,5 GHz) diverse da
quelle utilizzate attualmente per la telefonia mobile (da 800 MHz a 2,6 GHz).
Uno degli aspetti di particolare novità del 5G consiste nel fatto che non sarà finalizzato solo alla
comunicazione tra persone, ma anche al cosiddetto “Internet delle cose”, in cui vari dispositivi
wireless comunicano direttamente tra loro, utilizzando in particolare onde elettromagnetiche di
frequenza appartenente alla banda 26,5-27,5 GHz indicate spesso come “onde millimetriche”
anche se quest’ultime corrispondono più precisamente alle frequenze comprese tra 30 e 300 GHz
(lunghezze d’onda comprese tra 1 e 10 mm).
Onde elettromagnetiche di così elevata frequenza, durante la loro propagazione, non riescono a
penetrare attraverso gli edifici o comunque a superare ostacoli, ed inoltre vengono facilmente
assorbite dalla pioggia o dalle foglie. Per questo motivo sarà necessario utilizzare, in maggiore
misura rispetto alle attuali tecnologie di telefonia mobile, le cosiddette small cells, aree di
territorio coperte dal segnale a radiofrequenza le cui dimensioni, che possono andare da una
decina di metri (indoor) a qualche centinaio di metri (outdoor), sono molto inferiori a quelle delle
macrocelle che possono essere estese anche diversi chilometri [1].
Ciò comporterà l’installazione di numerose antenne e questa “proliferazione di antenne” sembra
essere una delle principali cause di preoccupazione nel pubblico circa possibili rischi per la salute
connessi alle emissioni elettromagnetiche del 5G. Per comprendere quanto queste preoccupazioni
siano fondate è necessario esaminare lo stato delle conoscenze scientifiche circa gli effetti sulla
salute dei campi elettromagnetici a radiofrequenza, distinguendo tra effetti a breve termine ed
effetti a lungo termine, questi ultimi non accertati nonostante i numerosissimi studi scientifici
condotti al riguardo.
Effetti a breve termine dei campi elettromagnetici a radiofrequenza
Gli unici effetti sulla salute umana dei campi elettromagnetici a radiofrequenza che siano stati
accertati dalla ricerca scientifica sono gli effetti a breve termine, di natura termica, dovuti a
meccanismi di interazione tra i campi e gli organismi biologici ben compresi. L’energia trasportata
da un’onda elettromagnetica incidente sul corpo umano viene in parte riflessa, in parte assorbita
ed in parte trasmessa dal corpo stesso. L’energia elettromagnetica assorbita dai tessuti del corpo
umano viene convertita in calore provocando quindi un aumento della temperatura del corpo,
generalizzato o localizzato a seconda delle modalità di esposizione. L’entità di questo aumento di
temperatura dipende dai meccanismi di termoregolazione corporea quali l’aumento della
circolazione sanguigna, la sudorazione o la respirazione accelerata. Queste reazioni biologiche
rallentano il processo di riscaldamento e limitano la temperatura a cui si stabilisce l’equilibrio
termico. L’organismo può tollerare aumenti di temperatura inferiori a 1°C, soglia al di sotto della
quale non si verificano pertanto effetti di danno per la salute.
Gli standard internazionali di protezione definiscono limiti di esposizione ai campi elettromagnetici
il cui rispetto garantisce ampiamente, grazie anche all’introduzione di opportuni fattori di
riduzione, che la soglia degli effetti termici non venga superata [2]. Tali standard sono stati recepiti
da vari Paesi nel mondo e parzialmente anche in Italia dove per i sistemi fissi per le
telecomunicazioni e radiotelevisivi sono previsti limiti di esposizione (da rispettare sempre) e
valori di attenzione (da rispettare nei luoghi adibiti a permanenze prolungate dei soggetti della
popolazione) più restrittivi dei limiti internazionali in quanto finalizzati alla tutela della salute
anche da eventuali effetti a lungo termine [3].
Effetti a lungo termine dei campi elettromagnetici a radiofrequenza
La possibilità di rischi per la salute a lungo termine, connessi alle esposizioni ai campi
elettromagnetici a radiofrequenza a livelli inferiori a quelli raccomandati dagli standard
internazionali di protezione, è stata e continua ad essere oggetto di numerosissimi studi scientifici,
sia di tipo osservazionale direttamente sugli esseri umani (studi epidemiologici), sia di tipo
sperimentale su animali in vivo e su cellule in vitro.
L’insieme degli studi disponibili è stato esaminato da diverse commissioni nazionali e
internazionali di esperti, nel corso degli anni, al fine di valutare se l’esposizione ai campi
elettromagnetici provochi danni alla salute umana. In particolare, l’Agenzia Internazionale per la
Ricerca sul Cancro (IARC) ha valutato nel 2011 le evidenze scientifiche sulla cancerogenicità dei
campi elettromagnetici a radiofrequenza emessi dai telefoni cellulari, da antenne radiotelevisive e
antenne fisse per telefonia cellulare, nonché da apparecchiature di notevole potenza usate in
ambito industriale [4].
Secondo la IARC, il complesso degli studi esaminati non supporta l’ipotesi di cancerogenicità dei
campi elettromagnetici, con l’eccezione di alcuni studi epidemiologici di tipo caso-controllo che
hanno evidenziato, a differenza di altri analoghi studi, un aumento del rischio di glioma (un tumore
maligno del cervello) e di neurinoma del nervo acustico (un tumore benigno) in relazione all’uso
intenso di telefoni cellulari. Un problema comune agli studi caso-controllo era che l’utilizzo di
telefoni cellulari veniva accertato retrospettivamente sulla base di questionari con i quali veniva
chiesto ai partecipanti (casi affetti dalle patologie e controlli sani) di ricordare numero e durata
delle conversazioni telefoniche, anche a distanza di molti anni dall’inizio d’uso. Per questo motivo
la IARC ha definito l’evidenza proveniente da questi studi come “limitata” in quanto, anche se
potrebbe essere dovuta ad un reale nesso di causa-effetto tra esposizione ai campi
elettromagnetici emessi dai telefoni cellulari e insorgenza dei tumori, non si possono escludere
altre spiegazioni come una distorsione dei risultati dovuta al fatto che la valutazione dell’utilizzo
dei telefoni cellulari era totalmente affidata al ricordo dei partecipanti agli studi, con la possibilità
che i soggetti malati, pienamente consapevoli della natura dello studio cui stavano partecipando,
tendessero a sovrastimare nel ricordo, rispetto ai controlli, il passato utilizzo del telefono cellulare.
Inoltre, questo aumento di rischio non è stato osservato in altri studi epidemiologici e non è stato
confermato dai numerosi studi sperimentali condotti su animali e su cellule. Per questi motivi la
IARC ha classificato i campi elettromagnetici a radiofrequenza solo come “possibilmente
cancerogeni per gli esseri umani” (gruppo 2B) e non come “probabilmente cancerogeni per gli
esseri umani” (gruppo 2A), né come “cancerogeni per gli esseri umani” (gruppo 1, in cui sono
compresi ad esempio la radiazione solare e il radon presente nelle abitazioni). La stessa IARC, in
una recente pubblicazione divulgativa sul proprio sistema di classificazione delle evidenze di
cancerogenicità, afferma che “i campi a radiofrequenza sono classificati nel gruppo 2B perché c’è
un’evidenza tutt’altro che conclusiva che possano provocare il cancro negli esseri umani” [5].
Va inoltre sottolineato che nuove evidenze epidemiologiche, successive alla valutazione della IARC
del 2011 e provenienti da studi di tipologia diversa (studi di coorte, studi sull’incidenza dei tumori
nella popolazione) sembrano smentire le indicazioni degli studi caso-controllo [6].
Due recenti studi sperimentali su ratti e topi da laboratorio condotti dal National Toxicology
Program (NTP) negli USA [7] e dall’Istituto Ramazzini in Italia [8] forniscono invece qualche
evidenza a supporto dell’ipotesi di cancerogenicità dei campi elettromagnetici a radiofrequenza,
pur se con alcune limitazioni e difficoltà interpretative. Entrambi gli studi evidenziano un
incremento di un particolare tipo di neoplasia (schwannoma cardiaco) tra gli animali esposti
rispetto ai non esposti, mentre non viene evidenziato alcun eccesso per quanto riguarda i
numerosi altri tipi di tumore esaminati. Inoltre, gli incrementi osservati sono numericamente
piccoli e sono inaspettatamente limitati ad un sesso e ad una specie: ad esempio, gli incrementi di
schwannomi cardiaci nello studio USA sono stati osservati solo nei ratti maschi (con 5 casi e 6 casi
nelle categorie più elevate di esposizione a campi con modulazione GSM e CDMA, rispettivamente,
contro 0 casi nei gruppi di controllo) ma non nei ratti femmina, né nei topi di entrambi i sessi.
I risultati di questi studi sono diversi da quelli derivanti dalla maggior parte degli oltre 50 studi su
animali da laboratorio in cui è stata valutata la cancerogenicità dei campi elettromagnetici senza
osservare effetti [4, 6]. Inoltre, in questi due studi l’incremento d’incidenza di schwannomi cardiaci
è stato osservato in corrispondenza di livelli di esposizione molto diversi tra loro: 6 W/kg in termini
di SAR (potenza elettromagnetica assorbita per unità di massa) nello studio dell’NTP, a fronte di
0,1 W/kg nello studio dell’Istituto Ramazzini.
Il livello di esposizione di 6 W/kg, in corrispondenza del quale sono stati osservati effetti nello
studio dell’NTP, è superiore ai livelli permessi per l’esposizione degli utilizzatori di telefoni cellulari
che per legge non possono superare un SAR di 2 W/kg. Inoltre, i valori di SAR riportati nello studio
dell’NTP si riferivano all’esposizione di tutto il corpo degli animali, mentre il limite di SAR per i
telefoni cellulari si riferisce ad esposizioni localizzate alle aree della testa in contiguità con il
telefono cellulare durante le chiamate vocali. Trattandosi di un’elevata esposizione di tutto il
corpo, e non solo della testa degli animali, non è da escludere che gli effetti riportati dallo studio
dell’NTP siano dovuti ad aumenti di temperatura sistemica e locale che non possono verificarsi
negli utilizzatori di telefoni cellulari.
In conclusione, questi due nuovi studi forniscono evidenze sicuramente importanti, ma
presentano anche aspetti poco chiari e risultati non coerenti tra loro e con i risultati di molti altri
studi sperimentali sulla cancerogenicità dei campi a radiofrequenza. Questi due studi non
sembrano pertanto modificare in modo sostanziale il quadro d’insieme delle evidenze scientifiche
riguardo al potenziale rischio cancerogeno da esposizione ai campi elettromagnetici a
radiofrequenza (in particolare i campi emessi dai telefoni cellulari), né ridurre le incertezze che
tuttora sussistono su questa problematica. Le evidenze fornite da questi studi possono tuttavia
fornire indicazioni per ulteriori ricerche al riguardo.
È stata anche studiata la possibilità di altri effetti a lungo termine diversi dalle patologie tumorali,
ma i relativi studi sono meno numerosi e con risultati ancor meno coerenti tra loro, e nel
complesso non forniscono evidenze consistenti che i campi elettromagnetici a radiofrequenza
causino tali effetti [6].
Possibili rischi per la salute connessi al 5G
Il 5G, come le attuali tecnologie di telefonia mobile di seconda, terza e quarta generazione (2G, 3G
e 4G), non richiede segnali elettromagnetici di intensità tale da indurre aumenti significativi della
temperatura corporea dei soggetti esposti, per cui non è prevedibile alcun problema per quanto
riguarda gli effetti noti dei campi elettromagnetici. Questo è vero anche in considerazione sia della
natura particolarmente restrittiva della normativa italiana, sia dei margini di cautela impliciti negli
standard internazionali per la protezione dagli effetti termici nell’ipotesi che il quadro normativo
italiano venga allineato ad essi per evitare che già esistenti problemi di installazione degli impianti
di telecomunicazione mobile possano essere accentuati con l’avvento del 5G [9].
Non solo i livelli di esposizione della popolazione saranno molto inferiori alle soglie per gli effetti a
breve termine di natura termica, ma la temuta “proliferazione di antenne” non dovrebbe
comportare aumenti generalizzati delle esposizioni in quanto le ridotte dimensioni delle small cells
comporteranno delle potenze di emissione più basse di quelle utilizzate per coprire le macrocelle.
D’altra parte, come già avviene per le small cells già utilizzate dalle tecnologie attuali di telefonia
cellulare, le antenne fisse saranno presumibilmente poste a distanze più ridotte dalle persone di
quanto lo sia, per esempio, la distanza di una stazione radiobase posta sulla sommità di un
edificio. Inoltre, le tecnologie 5G si affiancheranno, almeno inizialmente, alle tecnologie esistenti,
per cui qualche aumento dei livelli di esposizione potrebbe verificarsi in prossimità delle antenne.
Sarà comunque compito delle autorità delegate ai controlli delle emissioni verificare il rispetto
della normativa.
Le frequenze che verranno utilizzate per il 5G sono state oggetto di un numero di studi
sicuramente inferiore rispetto a quelle utilizzate dalle attuali tecnologie per le telecomunicazioni e
per le trasmissioni radiotelevisive, tuttavia alcune considerazioni possono essere effettuate.
Per quanto riguarda la banda 26,5-27,5 GHz, a tali frequenze le onde elettromagnetiche vengono
riflesse o assorbite superficialmente a livello della pelle, senza quindi penetrare all’interno del
corpo. Ciò indica che a tali frequenze non possono essere estrapolati i risultati degli studi
epidemiologici che suggeriscono un aumento di rischio di tumori intracranici negli utilizzatori di
telefoni cellulari, e tanto meno quelli dei recenti studi sperimentali dell’NTP e dell’Istituto
Ramazzini [7,8] in cui gli incrementi di schwannomi sono stati osservati nella regione del cuore
degli animali esposti.
D’altra parte, il fatto che le onde non raggiungono gli organi interni non significa di per sé che non
possano essere pericolose. Si pensi infatti alla radiazione ultravioletta, quale quella emessa dal
Sole, anch’essa completamente assorbita dalla pelle, che aumenta il rischio di tumori cutanei nei
soggetti più esposti e per questo è stata classificata dalla IARC come “cancerogena per gli esseri
umani” (gruppo 1) [10]. Si ricorda tuttavia che nel caso della radiazione ultravioletta, a differenza
dei campi elettromagnetici a radiofrequenza, sono stati identificati i meccanismi di danno al DNA
che la rendono cancerogena.
In passato sono state condotte diverse rassegne delle evidenze scientifiche sugli effetti biologici e i
rischi per la salute delle onde millimetriche, come per esempio in occasione dell’introduzione negli
aeroporti internazionali dei body scanner per controlli antiterroristici che espongono i passeggeri
ad onde elettromagnetiche a frequenze molto simili a quelle del 5G. L’Agenzia Francese di
Sicurezza Sanitaria dell’Ambiente e del Lavoro (AFSSET) evidenziava in una sua rassegna del 2010,
effettuata per valutare i rischi dei body scanner, che alcuni studi sperimentali di laboratorio in
vitro suggerivano effetti biologici delle onde millimetriche a livelli non termici, come un’azione
antiproliferativa su alcuni sistemi di cellule tumorali in coltura, o perturbazioni delle proprietà
strutturali e funzionali delle membrane cellulari, tuttavia la rilevanza sanitaria di questi effetti non
era chiara [11].
Si ricorda infine che nella già citata valutazione delle evidenze della IARC [4] sono stati esaminati
anche studi relativi ai campi elettromagnetici emessi da sorgenti diverse dai telefoni cellulari,
anche a frequenze confrontabili con quelle che saranno utilizzate dal 5G, che tuttavia fornivano
evidenze inferiori alla già limitata evidenza proveniente dagli studi sugli utilizzatori dei telefoni
cellulari.
In conclusione, i dati disponibili non fanno ipotizzare particolari problemi per la salute della
popolazione connessi all’introduzione del 5G. Tuttavia è importante che l’introduzione di questa
tecnologia sia affiancata da un attento monitoraggio dei livelli di esposizione (come del resto
avviene già attualmente per le attuali tecnologie di telefonia mobile) e che proseguano le ricerche
sui possibili effetti a lungo termine.