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Tecnologia e sicurezza Cosa succede se escludiamo Huawei dalla rete italiana 5G?

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Articolo di Lorenzo Borga, Linkiesta

 

Tutti parlano della nuova frontiera della comunicazione digitale come se fosse semplicemente un modo per connettersi più velocemente: è molto di più, e soprattutto è al centro della competizione tra Stati Uniti e Cina. Proprio per questo molti Stati occidentali stanno cominciando a escludere le aziende cinesi dalla partita, e anche in Italia qualcosa sta cambiando. Ma quanto costerebbe ai consumatori?

Sembra essere già una tecnologia disponibile per tutti a giudicare dalla sua presenza nel dibattito pubblico italiano e internazionale, ma non è così: a velocità 5G non naviga ancora quasi nessuno e l’anno scorso ha rappresentato meno del 10 per cento del fatturato del mercato delle reti. Se ne discute molto non perché permetterà di navigare su connessioni mobili a una velocità e una stabilità estremamente superiori rispetto alle tecnologie attuali, né perché aumenterà il numero di device – tra cui auto, elettrodomestici, semafori, e quasi tutto ciò che possiamo immaginare – che possono connettersi nello stesso momento.

Ma perché la tecnologia è al centro della guerra economica e commerciale tra Stati Uniti e Cina. Le due potenze si stanno sfidando a colpi di dazi, ma anche di innovazioni sulla frontiera digitale. Washington controlla con estrema attenzione le strategie aziendali di Huawei e Zte, due aziende cinesi che producono una lunga serie di prodotti tra cui anche la componentistica per far funzionare le future reti del 5G. Gli Stati Uniti dal 2018 stanno tentando di convincere i propri alleati storici a non utilizzare le tecnologie cinesi per il 5G, per paura che affidando alla Cina la costruzione della rete i messaggi che vi circolano – anche quelli relativi alla sicurezza nazionale – possano essere spiati.

Per ora Australia e Regno Unito hanno ascoltato le richieste e hanno escluso Huawei dalla fornitura della nuova rete mobile. E altri paesi europei starebbero riflettendo sulle prossime mosse, su pressione americana. La Francia sta incoraggiando gli operatori a non utilizzare forniture di Pechino; Romania, Polonia, Repubblica Ceca, Lettonia ed Estonia sono schierate con gli Usa, mentre Irlanda, Svezia, Ungheria e Spagna stanno costruendo le proprie reti assieme a Huawei.

In Italia dibattito è ancora in corso, ma una piccola svolta può essere considerata la decisione di Tim di non includere l’azienda cinese nelle prossime gare per la costruzione della rete core (quella dei server e del software di gestione) del 5G in Italia e in Brasile. La scelta è stata definita di natura industriale e non legata a dinamiche politiche (in Tim è presente per una quota minoritaria anche Cassa depositi e prestiti, controllata dal ministero dell’Economia). Anche il presidente di Huawei Italia l’ha definita di «natura commerciale e non politica».

Ma escludere per davvero l’azienda cinese dall’intero mercato del 5G quanto potrebbe costare? Eliminare una delle imprese leader nel settore – che deteneva nel 2018 più di un terzo del mercato in Europa e ancor di più in Africa, Asia e Sud America – non può che avere delle ripercussioni. In che termini? Velocità di diffusione dell’innovazione, grado di concorrenza e costi per sostituire le apparecchiature, secondo alcuni esperti.

Alcuni numeri per capire gli effetti di un’esclusione dei cinesi li fornisce il caso inglese. Il governo guidato da Johnson ha deciso di escludere Huawei dalla propria rete entro il 2027 e vietare l’acquisto di nuovi kit cinesi a partire dalla fine dell’anno.

Secondo il governo inglese la scelta porterà a un ritardo nella diffusione della tecnologia di «due o tre anni» e un costo in termini finanziari di due miliardi di sterline. Ma qui i numeri ballano parecchio, perché esistono diverse ricerche che riportano cifre differenti. Secondo l’associazione di categoria degli operatori telefonici inglesi, le perdite economiche sarebbero in realtà più del triplo: 6,8 miliardi di sterline, mentre il ritardo si restringerebbe a 18-24 mesi.

Una terza ricerca, questa volta riportata da Reuters (ma ancora una volta commissionata dagli operatori), parla addirittura di 55 miliardi di euro di danni economici per tutta l’Europa se i cinesi fossero espulsi da tutti i paesi del continente. Miliardo più, miliardo meno, sembra chiaro che la perdita c’è.

Ma il punto è un altro: converrebbe? Per rispondere a questa domanda bisognerebbe sapere se davvero esistono rischi per la sicurezza nazionale. Ancora però non sono state svelate prove della permeabilità di Huawei nei confronti del regime non democratico cinese. Certo però è che se i costi di non utilizzare la loro tecnologia fossero contenuti, la scelta potrebbe essere semplice per i governi occidentali.

A tentare di dare una risposta è Stefano Quintarelli, imprenditore, informatico ed esperto di temi tecnologici: «Se Huawei fosse esclusa dal 5G italiano, non credo tanto nei ritardi» dice a Linkiesta «quanto in un contenuto aumento dei costi. Ma ritengo che questo piccolo aumento non sarà tale da riflettersi sui prezzi finali per gli utenti».

In effetti l’Italia ha già i prezzi di mercato tra i più bassi d’Europa e l’aumento dei costi dovuto all’eventuale divieto di operare per Huawei andrebbe spalmato per tutta la vita utile della rete e per tutti gli utenti. Proprio i bassi prezzi potrebbero rallentare la diffusione del 5G, scoraggiando gli investitori, secondo Quintarelli: «Penso che eventuali tempi più dilatati che altrove siano legati maggiormente ai prezzi al pubblico molto bassi, che inducono piani diluiti, piuttosto che a un potenziale basso aumento del costo per la minore concorrenza».

Il costo dall’esclusione di Huawei potrebbe avere due cause. Da una parte l’azienda cinese è una fra quelle che applicano prezzi più aggressivi e concede finanziamenti a lunghissimo termine in particolare nei paesi in via di sviluppo.

Grazie infatti all’enorme massa di investimenti in Cina, Huawei riesce a diluire bene i suoi costi di ricerca e sviluppo e dunque abbassare i prezzi anche negli altri paesi. Dall’altra la concorrenza potrebbe risentire della perdita di una delle aziende leader.

Secondo le previsioni di Oxford Economics, se Huawei fosse esclusa tutta la fetta rimasta libera verrebbe “mangiata” dalle scandinave Nokia ed Ericsson, gli altri due grandi player mondiali che però negli ultimi anni hanno risentito della crescita dei cinesi. Ma non è detto. Secondo un dirigente di Tim che vuole rimanere anonimo i prezzi presentati alle aste vengono spesso spinti molto al ribasso e nuove aziende – come le americane Mavenir e Affirmed Networks e la new entry (almeno in questo campo) Samsung – potrebbero far diminuire i prezzi ancora di più.

Ma perché allora escludere Huawei dalla gara di Tim? La fonte conferma la versione dell’azienda, le «ragioni tecniche» probabilmente per evitare i «costi di switch». Ma ricorda anche che Tim utilizza già dei materiali cinesi per l’Adsl e non ci sono mai stati particolari problemi tecnici di compatibilità. Non si sa però se e quanto potrebbe venire a costare l’esclusione all’azienda italiana: la parte core rappresenta circa un terzo del costo di costruzione e gestione della rete, ma stime precise dell’impatto della scelta non ce ne sono.

A meno che non si tengano per buoni quelli prodotti da Oxford Economics in un report dello scorso dicembre. Un rapporto però che è stato commissionato dalla stessa Huawei e che fa parte del filone degli “Economic impact study” su cui – come spiega a Linkiesta un ex dipendente della società di consulenza – il cliente può avere una voce in capitolo rilevante nel corso dell’elaborazione dello studio. Per gli analisti inglesi, se l’Italia escludesse Huawei dalla costruzione della rete 5G potrebbe costarci quasi 300 milioni di euro all’anno di maggiori investimenti, 7 milioni di persone senza accesso alla rete veloce nel 2023 e circa 5 miliardi in meno di Pil nel prossimo lustro.

Ma basta cambiare campana per ascoltare una versione diversa della stessa storia. Secondo fonti di Ericsson Italia – la compagnia svedese che negli ultimi cinque anni ha visto ridursi di alcuni punti la sua quota di mercato globale in favore di Huawei (dati Dell’Oro) – la società sarebbe pronta a occupare lo spazio dei cinesi se questi dovessero incorrere nel divieto di accedere al mercato italiano.

A loro dire, i costi per gli operatori per passare dal 4G al 5G sono contenuti, anche grazie alle antenne radio di Ericsson che sono pronte a switchare alla nuova tecnologia già dal 2015. Proprio per questo non sarebbero i tempi il problema: Ericsson si vanta di aver coperto il 90 per cento della popolazione svizzera in otto mesi e di aver operato in un anno e mezzo 100mila sostituzioni di stazioni radio 4G e 5G di altri venditori di componenti. Un ban di Huawei dunque, secondo loro, non rappresenterebbe un problema (e di certo sarebbe un affare per Ericsson, come per Nokia).

Insomma, come non c’è certezza sui rischi per la cybersecurity delle reti cinesi, non vi è nemmeno su quanto ci costerebbe rinunciarvi. Ciò che sembra certo è che la nostra sicurezza e la nostra privacy hanno un costo, e che per prendere qualunque decisione il governo italiano dovrà usare la cautela più estrema.

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