Skip to content

Amendola: «Lo Stato diventerà più digitale ma sul 5G attenzione agli affari con la Cina

Condividi su facebook
Facebook
Condividi su twitter
Twitter
Condividi su linkedin
LinkedIn
Condividi su whatsapp
WhatsApp

Articolo di Federico Fubini, Corriere della Sera

 

Enzo Amendola, ministro degli Affari europei, ha il compito di preparare il piano italiano per investire i 209 miliardi di Next Generation EU. Mercoledì il governo ha proposte le prime, per ora vaghe, «linee essenziali».

C’è un punto che senza il cosiddetto Recovery, Fund sarebbe sicuramente impossibile?
«La digitalizzazione della pubblica amministrazione. Negli anni 60 il boom ebbe come simbolo l’autostrada del Sole: era l’Italia che si univa, anche materialmente. Oggi l’autostrada del Sole dev’essere digitale, di cui va rifatto il disegno: va di nuovo unito il Paese, con più servizi per cittadini e imprese. Va ribaltato il rapporto fra Stato e cittadini. Gli imprenditori, le persone comuni dovranno più rincorrere decine di uffici diversi. Tutti i servizi devono diventare raggiungibili al computer o tramite una sola app. Digitale e ambiente sono i due pilastri dell’intero progetto».

Nell’amministrazione esistono le competenze necessarie?
«Uno dei punti del piano è l’immissione di persone più giovani e con le competenze giuste. Non potranno essere assunzioni permanenti, perché il Recovery Plan non è per sempre. Ma diamo un segnale preciso».

Nel Recovery Plan si parla di più concorrenza. Non rischiate di andare in direzione opposta con l’interventismo di Stato, la golden power con più diritti di veto sugli investimenti, la concentrazione su Tim e Cdp della rete unica e domani magari anche del cloud e del 5G?
«Per spingerci sulla frontiera della digitalizzazione, serviva un accordo sulla rete unica che facesse saltare i ritardi. Presentarsi all’appuntamento del Recovery Fund senza banda ultra-larga non era pensabile. Ma questa non va vista come una nazionalizzazione, dev’esserci una spinta perché tutti gli attori privati possano concorrere grazie a questa infrastruttura. Il settore pubblico non può fare niente senza le energie migliori del mercato».

Verrà anche il momento del 5G, la nuova generazione di comunicazioni mobili velocissime e a grande portata. Finanzieremo con gli aiuti europei i grandi fornitori cinesi come Huawei o Zte?
«C’è un tema di sicurezza. I dati sono il nuovo petrolio, i dati degli italiani sono la proprietà intellettuale del Paese. Dunque mi auguro che non solo l’Italia, ma l’intera Europa, sia molto più rigida. Non ho mai messo in discussione i rapporti commerciali e di scambi con la Cina, ma sulla sicurezza non si possono fare compromessi».

Che intende dire?
«Se si parla di autorizzazioni sul 5G a imprese cinesi, o di qualunque altro Paese, si pone una questione di sicurezza nazionale. E di sovranità, come dice il presidente francese Emmanuel Macron. Questi sono temi che un Paese come il nostro tratta con gli alleati europei e atlantici, non con altri».

Dunque niente aziende cinesi nel 5G italiano?
«Ormai ne stiamo discutendo a livello europeo. Non è questione di essere anti-cinesi, è un fatto normale. Le chiavi di casa mia io le do ai miei familiari, non ad altri».

La sua è la posizione del governo?
«Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini e io ne parliamo molto. Non significa essere ammiratori di Donald Trump. Negli Stati Uniti Joe Biden, il candidato democratico, su questi principi è anche più fermo del presidente. Prima di aprire alla concorrenza ci vogliono requisiti di sicurezza».

Ma non siamo comunque dipendenti dalla Cina per la fornitura di tanti prodotti essenziali?
«Uno degli obiettivi del Recovery Plan italiano è proprio favorire il reshoring, il rimpatrio di alcune linee di produzione. Non sarà facile, ma il ministero dello Sviluppo sta lavorando a progetti precisi. Vivevamo in un mondo malato, come dice papa Francesco, con degli standard legali internazionali che giocavano contro l’Unione Europea. Eravamo la cenerentola fra le grandi potenze commerciali, insicuri e a bassa crescita. Ora l’Europa sarà in campo».

La cenerentola d’Italia invece è l’occupazione femminile. Come pensate di affrontare il problema con Next Generation EU?
«Ci sono varie strade, a partire da un impegno per rendere più conciliabili i tempi familiari e di lavoro. Va senz’altro rafforzata la rete degli asili-nido, dove siamo fra gli ultimi in Europa. Ci sono proposte per la decontribuzione sulle assunzioni di donne e il sostegno alle donne che lanciano un’iniziativa imprenditoriale. Il ritardo nell’occupazione femminile rispetto al resto d’Europa ci costa ogni anno novanta miliardi di prodotto interno lordo, dobbiamo ridurlo per ragioni di crescita e di giustizia».

Cosa pensate di fare per le imprese?
«Stiamo lavorando a un’estensione di Industria 4.0 con quella che chiamiamo Transizione X.0: un allungamento di più di tre anni di forti incentivi fiscali per imprese che investono in tecnologie di frontiera».

Con i soldi del Recovery Fund taglierete le tasse?
«Non si possono finanziare tagli permanenti delle tasse con risorse che finiscono dopo qualche anno. Ma investiremo in tecnologie che rafforzano di molto il contrasto all’evasione. Il gettito che ne verrà andrà a riduzione delle tasse».

Che compaia un progetto sulla sanità nel Recovery Plan significa che il governo non attingerà al Meccanismo europeo di stabilità (Mes)?
«Next Generation EU prevede progetti legati per esempio al digitale in sanità e alla telemedicina. Ma non voglio eludere il tema: sul Mes dev’esserci una scelta alla luce del sole del governo e del Parlamento. Ora è possibile farla, in un senso o nell’altro».

Potrebbe interessarti anche...

No comment yet, add your voice below!


Add a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *