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Perché il 2021 sarà l’anno della verità per il 5G in Italia

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Articolo di Luca Zorloni, Wired

Ci sono più di 5mila domande per installare le antenne che hanno ottenuto l’ok ambientale. Ma con il no dei Comuni i cantieri sono in ritardo. L’inchiesta di Wired

Il 2021 sarà l’anno della verità per il 5G in Italia. Le compagnie telefoniche devono recuperare i ritardi causati dall’emergenza Covid-19. Sia perché le restrizioni hanno allungato i tempi di autorizzazioni e cantieri. Sia perché lungo lo Stivale, come in pochi altri Paesi al mondo, la falsa teoria che lega il coronavirus al 5G non solo ha attecchito, ma ha prosperato ai piani alti dei municipi, con un boom dei divieti firmati dai sindaci. Solo tra aprile, maggio e giugno si concentra il 63% delle circa 450 ordinanze contro le reti di quinta generazione che i Comuni italiani hanno emesso in due anni.

Il risultato è che ora restano diciotto mesi per arrivare preparati all’appuntamento di giugno 2022, quando le televisioni lasceranno libere le frequenze più ambite del 5G. Quelli dei 700 megahertz (Mhz), che servono per ottenere una vasta copertura in banda larga, raggiungendo le aree rurali e gli spazi al chiuso. La fascia più critica per accendere il 5G, insomma.

La Commissione europea lo ripete dal 2016, tanto che ha consigliato agli Stati di attivare i 700 Mhz già dal 2020. L’Italia ha scelto un’altra strada. E si è presa più tempo. Ma ora rischia di cumulare alla dilazione “autorizzata” i ritardi provocati dalla variabile coronavirus, le cause che gli operatori devono affrontare per far cadere i divieti dei Comuni contrari e i consueti tempi della burocrazia italiana. Incognite che mettono a repentaglio il terzo posto che la Commissione ha assegnato al Belpaese in merito al grado di preparazione delle reti di quinta generazione nel suo Indice di digitalizzazione dell’economia e della società 2020, unico voto positivo in una pagella che lo colloca complessivamente al 25esimo posto su 28.

Se al momento, come scrive l’Autorità garante delle comunicazioni, il 5G si appoggia perlopiù alle reti già esistenti del 4G, le compagnie telefoniche che hanno vinto le frequenze – Tim, Vodafone, Iliad, Wind-Tre e Fastweb – sono ai blocchi di partenza per connettere l’Italia alle future reti mobili. Dal 2019 almeno 5.145 domande per installare antenne di nuova generazione hanno ricevuto parare favorevole dalle agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (Arpa), nel corso dell’iter autorizzativo in capo ai Comuni.

Il piano per connettere l’Italia in 5G
Wired ha ricavato la stima attraverso una richiesta di accesso agli atti indirizzata a settembre alle 19 Arpa regionali e ai due uffici corrispondenti per le province di Trento e Bolzano, per conoscere l’esatto numero e i dettagli dei pareri che hanno rilasciato ai Comuni in merito alle pratiche per autorizzare l’installazione di un’antenna 5G. Ed è un numero per difetto. Marche e Puglia non hanno fornito dati (la seconda specificando di non avere questi dati). Dal Lazio sono arrivati solo i numeri delle province di Latina e Viterbo, perché nelle altre i pareri non sono registrati allo stesso modo e le banche dati non si riescono a interrogare allo stesso modo. L’Abruzzo ha fornito solo quelli di Teramo e dalla Campania manca all’appello il Salernitano. Occorre anche precisare che le risposte sono arrivate nell’arco di tre mesi, quindi la quota dei pareri in lavorazione può essere cambiata nel tempo. Si tratta di una frazione piccola dei dati forniti ma Wired ha comunque adottato un calcolo conservativo.

Nel complesso, quasi una domanda su quattro (23,7%) riguarda installazioni in Lombardia e una su dieci (10,5%) la sola provincia di Milano. A livello nazionale la maggior parte arriva da Iliad, la compagnia telefonica francese approdata in Italia nel 2017, che sta costruendo ex novo la sua rete, e riguarda, non a caso, l’ambita fascia dei 700 Mhz.

Perché interpellare le Arpa? Perché, come spiega quella veneta, fungono da “supporto tecnico per verificare la compatibilità del progetto con i limiti stabiliti uniformemente a livello nazionale”. Quando si installa un impianto di telecomunicazioni, la compagnia telefonica fa domanda al Comune e quest’ultimo interpella l’agenzia ambientale per un “parere tecnico sul rispetto dei limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dall’esposizione al campo elettromagnetico”. Se il parere è positivo, la palla torna al Comune, che ha l’ultima parola sull’installazione. Quei cinquemila sì, quindi, non corrispondono necessariamente ad altrettante antenne, perché gli uffici municipali potrebbero aver trovato altri motivi per bloccarle.

Tuttavia, in assenza di un catasto delle infrastrutture di telecomunicazioni in Italia, approvato nel 2016 e mai partito, il numero di domande vagliato dalle Arpa restituisce un ordine di grandezza delle connessioni che le compagnie telefoniche hanno valutato di dover installare per dotare l’Italia di una copertura 5G. E dimostra, in un Paese già dotato di regole più stringenti sulle emissioni elettromagnetiche, che l’opposizione di tanti sindaci al 5G per motivi ambientali non regge. A smontarla è proprio il sì delle agenzie incaricate di valutare il rispetto di quei limiti, che in taluni casi hanno risposto alla richiesta di accesso agli atti con elenchi dettagliati degli impianti per cui hanno espresso parere favorevole.

Il paradosso dei no
Tra giugno 2019 e settembre 2020, per esempio, l’Arpa calabrese scrive a Wired di aver esaminato 81 domande per la sola Reggio Calabria. E di averne respinta solo una, quando ha riscontrato il rischio di un superamento dei limiti. Ciononostante, il 6 luglio scorso il sindaco Giuseppe Falcomatà, in quota Partito democratico, emette un’ordinanza di blocco. Nella quale dichiara di voler avviare un dialogo per “esaminare serenamente la questione sotto un profilo puramente scientifico” anche con l’Arpa. La stessa agenzia che ai suoi uffici comunica che dalle sue analisi non emergono rischi.

Ma lo schema si ripete: da Grosseto (che ha poi revocato l’ordinanza) a Messina, Ragusa e Siracusa. Nella città dell’Ortigia il sindaco Francesco Italia, iscritto ad Azione (il partito di Carlo Calenda) nel suo provvedimento scrive che “la pandemia da Covid-19 ha determinato, insieme a una mutata percezione del rischio per la salute, una particolare sensibilità dell’opinione pubblica alle tematiche ambientali”. Tuttavia è proprio l’Arpa siciliana, che di quei temi si occupa, a dare parere positivo a cinque antenne di Vodafone e Wind-Tre. E a nove a Messina.

Davanti al semaforo verde di Arpa un Comune può sempre decidere che non vuole l’antenna. O non la vuole nel sito scelto dalle compagnie. Bologna, per esempio, ha un tavolo per coordinare le installazioni. Ma gli stessi stop delle agenzie regionali consentono di rimodulare i progetti per limitarne l’impatto. Proprio dalle carte dell’Arpa Emilia Romagna emerge che, su 37 domande respinte, per 26 è stato “presentato un nuovo progetto”, rispetto al quale l’agenzia “si è pronunciata positivamente”. Questo ruolo di filtro, come scrive l’Istituto superiore di sanità nel suo rapporto Istisan, “permette di assicurare il rispetto dei limiti in qualsiasi condizione di esposizione”.

Tempi stretti e tante domande
L’Agcom ha dato alle compagnie 54 mesi dalla ricezione delle frequenze per completare l’installazione delle reti. E gli operatori non hanno intenzione di metterci di più. L’asta è costata nel complesso 6,55 miliardi. E 1,25 ne hanno dovuti sborsare già nel 2018. “È un traguardo possibile, ma per proseguire l’accelerazione delle installazioni bisogna portare avanti il lavoro di informazione e formazione sui potenziali benefici della tecnologia verso le comunità locali e la cittadinanza”, commenta Pietro Guindani, presidente di Asstel, l’associazione che rappresenta le compagnie. La federazione si è alleata con l’Associazione nazionale Comuni italiani (Anci) per mitigare le resistenze dei sindaci. E tagliare gli iter di approvazione. “La semplificazione dei processi autorizzativi rimane un tema centrale, anche per quanto riguarda le semplificazioni già adottate sui siti già esistenti”, dice Guindani.

Solo per la fascia dei 700 Mhz, stando ai dati ricavati dagli atti più completi (mancano in quelli di Campania, Piemonte, Molise, Bolzano, Trento, Sicilia e Umbria e per alcune province di Lazio e Abruzzo), le Arpa hanno vistato 3.060 domande. Non a caso: è la frequenza scelta dall’Europa per ottenere una copertura diffusa del 5G. Per questo la Commissione pretendeva che fosse già disponibile dal 2020. E così faranno alcune nazioni.

Non l’Italia, però, che ha chiesto una deroga fino al 2022 per dare tempo alle televisioni, che oggi occupano le frequenze, di traslocare. “Noi abbiamo questa difficoltà: che la banda più pregiata delle tre assegnate al 5G (le altre sono i 3.700 Mhz e i 26 Ghz, ndr) non è libera”, commenta Mirella Liuzzi, sottosegretario del ministero dello Sviluppo economico (Mise) con delega alle telecomunicazioni. Se da un lato “l’Italia ha rispettato la scadenza del 2020 per l’assegnazione del diritto d’uso delle frequenze”, osserva Guindani, dall’altro rischia di essersi incartata quando si passa dalla teoria alla pratica. Perché, osserva il presidente di Asstel, “dal punto di vista delle tempistiche di realizzazione della rete, queste risentiranno inevitabilmente della disponibilità effettiva della banda di frequenza 700 Mhz”. Per la quale Vodafone, Tim e Iliad hanno messo sul piatto 2 miliardi.

I progetti delle compagnie
È della sola compagnia francese la carta intestata di 1.762 domande di installazione, stando ai dati raccolti da Wired dagli atti più completi (non indicano gli operatori le richieste di Campania, Piemonte, Veneto, Bolzano, Trento, Sicilia e Umbria e per alcune province di Lazio e Abruzzo). Iliad, d’altronde, deve costruirsi una rete da zero. Ma anche tutte le altre compagnie hanno piani ambiziosi per i prossimi anni. Tim raggiunge con il 5G fino a 2 gigabit al secondo (Gbps) Roma, Milano (al 90% entro fine anno), Torino, Firenze, Napoli, Ferrara, Bologna, Genova, Sanremo, Brescia e Monza con il primo autodromo d’Europa. E nel 2021 punta ad arrivare alle principali città, destinazioni turistiche e distretti industriali, fino a una copertura nazionale nel 2025.

Vodafone da giugno 2019 ha lanciato il 5G su rete commerciale a Milano (dove ha superato il 90%) e in 28 comuni dell’area metropolitana, Roma, Torino, Bologna e Napoli. E dopo il capoluogo lombardo, dove ha sperimentato 41 progetti, ha lanciato test a Genova e Catanzaro. Wind-Tre punta a raggiungere 70 capoluoghi nel 2021 (dai 60 attuali), forte di un investimento di 6 miliardi in cinque anni che oggi le assicura la copertura del 55% del territorio nazionale. Fastweb invece lancerà nei prossimi giorni la sua offerta. Il 5G sarà incluso in tutte le tariffe, di clienti vecchi e nuovi, e le prime città raggiunte saranno Milano, Bologna, Roma e Napoli.

“Nel 2021 ci aspettiamo che gli operatori inizino a coprire diverse grosse città, per capitalizzare gli investimenti fatti”, commenta Liuzzi. Gli obblighi specifici, precisa Guindani, “sono del tipo “demand driven” e riguardano i servizi forniti sui 3.4-3.6 Ghz”. E poi c’è la marcia per disporre al loro posto tutte le pedine, in tempo per il fatidico via libera di giugno 2022. Marcia che, dopo il 2020, è diventata una gara di velocità. “Il 2020 sicuramente non è stato anno favorevole, sia per le opposizioni territoriali, sia perché il Covid ha complicato inevitabilmente le catene di fornitura, rallentando in parte i processi programmati di realizzazione delle infrastrutture, mentre sono stati accelerati gli investimenti nelle reti 4G per gestire i volumi di traffico cresciuti esponenzialmente”, osserva Guindani.

Per questo le aziende chiedono meno burocrazia. “Come Mise vogliamo giocare un ruolo da facilitatore, per rendere le installazioni il meno impattanti possibili”, spiega Liuzzi: “Stiamo lavorando per avere un rapporto più intenso con i Comuni”. A breve partirà una campagna di comunicazione sui vantaggi del 5G (un sondaggio della società di consulenza Deloitte mostra che in Italia la conoscenza è ancora molto bassa). Nei giorni scorsi sono stati individuati i 45 poli nazionali da candidare come hub per un progetto europeo. Ed entro l’inizio del 2021 è attesa la graduatoria per le case delle tecnologie emergenti con una dote di 20 milioni di euro. Progetti che hanno l’obiettivo di raccogliere innovazioni che possono viaggiare sulle nuove reti, dalla mobilità autonoma alla robotica.

“Uno degli assi di sviluppo più interessanti saranno le porzioni di spettro che gli operatori concederanno alle grandi aziende per sviluppare tecnologie sul 5G”, racconta Liuzzi. Un accordo già sperimentato in Germania e nel Regno Unito e di cui si parla anche in Italia. Tim si è appena alleata con l’azienda di robotica Comau per sviluppare progetti nell’ambito dell’internet delle cose e dell’industria 4.0.

Marcia a tappe forzate
L’altra faccia della medaglia è che i prossimi mesi sono fitti di impegni su cui Roma non può permettersi di prendersela comoda. Come quella del Codice europeo per le comunicazioni elettroniche a fine anno, “che contiene importanti norme per la semplificazione dell’uso delle small cell”, spiega Guindani. E rispetto a cui “l’Italia rischia di arrivare in ritardo”. Poi c’è il trasloco delle televisioni dai 700 Mhz, mal digerito dalle emittenti. Il 15 dicembre il Mise ha varato un decreto per assegnare degli indennizzi a chi le libera prima.

E ancora: slitta alla primavera del 2021 la piena operatività del Centro di valutazione e certificazione nazionale, l’ufficio tecnico del Mise preposto a controllare la sicurezza informatica di apparati e infrastrutture di rete, tra cui quelle del 5G, al centro del braccio di ferro tra Stati Uniti e Cina. A ottobre Fastweb ha dovuto fare un passo indietro da un contratto con Huawei e nelle scorse ore ha annunciato di aver siglato una fornitura con Qualcomm per il suo fixed wireless access (la banda larga senza fili), con cui conta di coprire 500 città nel 2021.

Il primato dell’Italia nel 5G in Europa non è una posizione inscalfibile. Oggi il Paese è tra i migliori dieci del Vecchio continente per numero di sperimentazioni avviate, secondo l’osservatorio europeo sul settore. Tuttavia i ritardi accumulati nel 2020 non sono da sottovalutare, a cominciare dal fronte del no dei Comuni (17 nel frattempo le revoche e le sospensioni). E non solo per gli effetti sui bilanci delle compagnie di telecomunicazioni che, dati Asstel alla mano, nel 2019 hanno investito nel Paese 7,6 miliardi, ma anche per le conseguenze sulla competitività delle imprese. Per Cisco il 5G è strategico per colmare il divario digitale. E Deloitte stima che spingerà la crescita del segmento industria 4.0 e intelligenza distribuita fino a 12 miliardi a livello globale (con una crescita annua del 35%).

Di contro, i ritardi hanno un prezzo. Da un sondaggio tra 540 aziende potenzialmente interessate condotto dall’Osservatorio 5G del Politecnico di Milano, l’80% non ne vede ne conosce i vantaggi. “Quasi tutte le applicazioni mappate consentono di offrire benefici tangibili rispetto alle reti attuali e in alcuni casi servizi totalmente nuovi – afferma il direttore Ivano Asaro -. Tuttavia, gli investimenti richiesti sono significativi e pertanto è probabile che, quantomeno nei prossimi anni, solo realtà end user molto esperte, con una forte consapevolezza delle esigenze soddisfabili con il 5G e dei benefici ottenibili, saranno disposte a investire su queste reti. Allo stesso tempo, queste imprese potrebbero costruirsi un importante differenziale competitivo accelerando in questa direzione”.

Per la società di consulenza Ernst & Young in Italia 12-18 mesi di slittamento nello sviluppo del 5G si traducono in “minori benefici stimati tra 2,9 e 43, miliardi di euro”. Per questo il bilancio a fine 2021 sarà l’autentica prova del nove.

 

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