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Università e ricerca nel mondo che cambia

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Last but not least, concludiamo la serie di Talk for 5G in partnership con Inwit con il macro-tema università e ricerca, affiancato da altri elementi cari a noi di FOR: innovazione, digital, tecnologia, PNRR e l’immancabile 5G. Nella prima parte del talk “Università e ricerca nel mondo che cambia” sono intervenuti Giovanni Ferigo, Giovanni Lo Storto e Simonetta Iarlori; per la seconda parte Massimo Sideri ha intervistato Maria Cristina Messa e Maria Chiara Carrozza.

«Gli ottimisti agiscono, i pessimisti osservano»

Giovanni Ferigo, Amministratore Delegato e Direttore generale di Inwit, ha indicato il digital learning come strumento indispensabile per ottimizzare le università, di cui Inwit si sta occupando attivamente grazie alla collaborazione con la Luiss Guido Carli e l’Università degli Studi di Napoli Federico II. Alla Federico II sono stati implementati i DAS, «sistemi molto performanti in termini di abilitazione della rete, fibra ottica, discreti, integrabili esteticamente con l’ambiente». Guardando al 5G come «fattore abilitante del futuro», Inwit si rivolge a università, ospedali e diversi altri ambiti, intrattenendo un dialogo con il governo e auspicando un’accelerazione sulla legge delle semplificazioni.

Da digital first a digital by default

Ha fatto anche cose buone, la pandemia. Per Ferigo ci ha proiettati diversi anni nel futuro, e anche per Giovanni Lo Storto, Direttore Generale Luiss Guido Carli, la pandemia ha premuto sull’acceleratore della macchina dell’innovazione tecnologica. Intraprendendo la strada del digital by default, i sistemi educativi – e, di conseguenza, aziende e il Paese intero – ne possono beneficiare, anche con un opportuno mix fra sistemi di apprendimento, ad una condizione: aumentare il numero dei laureati – attualmente fra i più bassi d’Europa, solo il 27% nella fascia 25-34 anni – eliminando la retorica dell’ “inutile pezzo di carta” e, tramite l’orientamento, e non la semplice informazione, «mettere nelle mani degli studenti strumenti per la trasformazione di sé».

Open innovation e Intelligenze Artificiali

Nell’azienda Leonardo, di cui ci ha parlato Simonetta Iarlori, Chief People, Organisation and Transformation Officer Leonardo spa, lo smartworking esisteva ed era promosso prima della pandemia. Dalle 2mila persone in smartworking di gennaio 2020, sono passati a ben 14mila nella primavera dello stesso anno, in piena emergenza. Si prosegue sulla strada dell’open innovation, ponendosi l’obiettivo di assumere 500 ricercatori per la ricerca di base che si occupino di digital twin, simulazioni avanzate, del mondo HPC. Per quanto riguarda la formazione, Leonardo già nel dicembre 2019 aveva investito sui corsi online di alta formazione; nell’ambito dell’HR Iarlori spiega che è stata impiegata l’Intelligenza Artificiale anche per il processo gestionale. Sfruttando la piattaforma americana DRAW, si vuole avere una prospettiva del destino delle competenze attuali, immaginando dei percorsi di formazione per trasformare i mestieri, le occupazioni, in vista di un cambiamento futuro. Leonardo lavora sia con le università che con le scuole superiori, in cui vuole formare gli studenti all’uso delle IA perché abbiano una cultura più trasversale e avanzata. Con Open Italy 2020-2021, Leonardo supporta la startup SkillGym, per lo sviluppo delle soft skills tramite le IA, e Up2You, che si occupa invece di decarbonizzazione e sostenibilità.

Dominiamo la tecnologia, facciamo ricerca

Nella seconda parte del talk Massimo Sideri, Editorialista del Corriere della Sera, ha intervistato Maria Cristina Messa, Ministro dell’Università e della Ricerca, Maria Chiara Carrozza, Presidente del CNR. Sideri ha aperto l’intervista sottolineando la necessità di guardare alle potenzialità future degli investimenti e della ricerca odierne, in una prospettiva il più lungimirante possibile poiché non abbiamo piena consapevolezza di cosa ci riserverà un domani lontano. Sideri richiama alcuni temi già affrontati e ne inserisce di nuovi: formazione delle nuove generazioni, innovazione, partnership pubblico/privato, spin-off – più affini al sistema italiano rispetto allestartup –knowledge transfer, biorobotica.

Per il ministro Maria Cristina Messa «università e ricerca sono i motori del mondo che cambia», che nel PNRR risultano centrali per rendere il nostro paese più competitivo. Fra gli obiettivi figura l’aumento del numero dei laureati, sia fornendo facilitazioni dal punto di vista economico, sia rendendo più attraente la formazione in sé. Risulta quindi fondamentale, per avere maggiore successo e capacità lavorativa, «dare gli strumenti ai giovani e anche ai meno giovani per dominare la tecnologia». Si cerca di promuovere tre tipi di ricerca: la ricerca individuale, chiamata anche ricerca di base o ricerca senza tematica, che non dà risultati immediati e si basa sulle idee e la curiosità dei singoli; una ricerca collaborativa, fra atenei, tra atenei, enti di ricerca e industria – non solo fruitore, ma partecipante attivo – su tematiche decise dal governo ma che hanno bisogno di un forte investimento; infine, creazione di centri di ricerca nazionale e supporto ad ecosistemi territoriali della ricerca che possano sviluppare in modo efficace il trasferimento dalla ricerca alle imprese.

«Tutto questo impianto richiede tre cose principalmente: una grande collaborazione fra pubblico e privato, che dobbiamo normare in modo diverso o per lo meno semplificare; una grande rete collaborativa fra istituzioni che fanno ricerca, in senso lato, nazionale possibilmente, che superi la frammentazione che il nostro sistema della ricerca ha subito negli ultimi anni; una grande flessibilità nell’offerta formativa che possa attrarre di più i nostri giovani».

Il tasto dolente della partnership pubblico/privato

Attualmente la partnership fra pubblico e privato non è facile, ma la grande distanza fra i due non è una necessità inevitabile, e si è creata nel corso del tempo. Per il Ministro è necessario «risvegliare la coscienza collettiva», incentivando i finanziamenti – impensabile senza un accordo solido fra le parti -, lavorare sulle riforme, facilitare la creazione di nuove imprese e spin-off; bisogna formare un rapporto fra pubblicato e privato non solo nello sfruttamento della ricerca, ma anche nel fare ricerca. Sarebbe utile «dare una dimostrazione di successo della collaborazione pubblico/privato per trainare il resto del paese», dando ad esempio la possibilità all’industria di sfruttare i brevetti nelle scienze della vita senza dover ricominciare da capo – rispettando le regolamentazioni.

Spin-off e knowledge transfer

La Presidente del CNR Maria Cristina Carrozza ha definito la spin-off come una estensione della partnership pubblico/privato, poiché è una partnership pubblico/pubblico, da cui si esce come spin-off, quindi privati. In generale le partnership pubblico/pubblico e pubblico/privato sono «la chiave di successo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza». Nel PNRR è prevista competizione, come sempre nella ricerca, ma anche collaborazione. Le partnership, seguendo gli insegnamenti dell’Unione Europea, sono una soluzione per uscire dalle crisi, per colmare dei gap dello sviluppo.

«Nelle grandi trasformazioni di scienze e tecnologie le partnership sono la chiave per costituire una leadership industriale che altrimenti da sola, spontaneamente, non si crea. Nel CNR stiamo elaborando una strategia sulla valorizzazione della ricerca e sul trasferimento di conoscenze, una riedizione in chiave contemporanea del trasferimento tecnologico».

Tecnologie abilitanti per la robotica di consumo

Il CNR si spende molto per la creazione e lo sviluppo di tecnologie abilitanti che nascono dalla scienza – 5G, quantum tech, grafene. Anche i vaccini, in effetti, sono nati laddove un decennio fa c’è stato un investimento, ha ricordato Carrozza, in linea con quanto abbiamo già detto sull’investire con lungimiranza, con competenze e know how. Nel CNR c’è ampia disponibilità di esperti nell’ambito dei materiali, dei biomateriali, di chimica, di internet. Infine, la Presidente mostra anche la propria esperienza nell’ambito della biorobotica, il cui limite attuale è la comunicazione fra robot, senza grossi ritardi – data, chiaramente, l’impossibilità della latenza zero -, condizione necessaria perché i robot possano operare in spazi condivisi con degli esseri umani; il 5G è utilissimo in questo soprattutto in spazi chiusi, limitati. L’obiettivo ultimo della rivoluzione robotica è l’interazione diretta con i consumatori, che non siano quindi esperti della tecnologia; la vera sfida sarà «la robotica di consumo, che avrà bisogno di tutte le tecnologie abilitanti per diventare manipolabile e utilizzabile anche dagli utenti non formati e non specialisti».

Articolo a cura di Francesca Santoro, Fondazione Ottimisti&Razionali

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