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L’Europa sta accumulando troppi ritardi sul 5G

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Assegnata meno della metà delle frequenze. Nella fascia dei 3.6 GHz coperto il 10% della popolazione contro il 50% in Cina. Regole e autorizzazioni rallentano lo sviluppo

Si allungano le distanze nelle corsa mondiale al 5G. E l’Unione europea perde ancora terreno rispetto ai primatisti: Stati Uniti, Cina e Corea del sud. Sono gli stessi dati della Commissione, raccolti da Wired, a certificare i ritardi. A giugno gli Stati dell’Unione hanno assegnato meno della metà delle frequenze pioniere, scelte per il lancio delle reti di quinta generazione: il 47% dei 1460 megahertz (MHz) totali. Ci sono differenze sia nella geografia a 27 (l’Italia, per esempio, ha chiuso tutte le aste nel 2018) sia nello stato di avanzamento degli specifici spettri di banda: se la fascia dei 3,6 gigahertz (GHz) è stata assegnata al 65% e quella dei 700 MHz al 53,7%, arrancano i 26 GHz, al 22,2%.

Nel complesso, tuttavia, i 27 si trovano in una situazione molto distante dai piani stabiliti dal Codice europeo delle comunicazioni elettroniche nel 2018. Gli obiettivi fissavano per la fine di giugno 2020 l’assegnazione dello spettro dei 700 MHz ed entro la fine dello scorso anno quella dei 3.6 GHz e di almeno una frequenza entro i 26 GHz. Un traguardo mancato, a causa di ritardi precedenti all’esplosione dell’emergenza Covid-19 e che la pandemia ha solo aggravato. Mettendo l’Europa in una posizione scomoda nel panorama globale del 5G.

Secondo la compagnia di telecomunicazioni Ericsson, nello sviluppo della banda media (per intenderci, i 3.6 GHz), che è cruciale nella costruzione delle nuove reti poiché combina un’ampia capacità di trasmissione dei dati con una copertura su lunghe distanze, ad aprile Unione europea e Regno Unito erano appena sopra il 10% di popolazione coperta dal segnale (la previsione è del 15% nel 2022). Contro il 38% degli Stati Uniti, il 50% della Cina, il 64% dell’Australia e il 95% della Corea del Sud.

La Commissione ha suonato il campanello di allarme. Come spiega a Wired un portavoce, Bruxelles “ha richiamato gli Stati membri perché evitino ogni ritardo nell’assegnazione delle frequenze pioniere del 5G”. Alcune di queste gare sono state programmate per i prossimi mesi ed altre sono attese entro la fine dell’anno, ma per evitare sorprese, la Commissione potrebbe far ricorso ai poteri di cui si è dotata per far rispettare le scadenze. Compresa, in casi estremi, la procedura d’infrazione.

Problema numero 1: competizione internazionale

Non è solo questione di rispettare i diktat politici di Bruxelles. C’è un problema di competitività, in uno scenario globale in cui sono le infrastrutture digitali a fare la differenza. Come riporta Ericsson, per la sola Europa il 5G vale 210 miliardi di euro di valore aggiunto e una maggiore efficienza di trasmissione che taglia del 15% le emissioni. Tuttavia, se entro fine anno la compagnia stima mezzo miliardo di abbonamenti alle nuove reti in tutto il mondo, l’Europa non è tra i mercati più reattivi. “La cornice regolatoria non aiuta lo sviluppo, con una debolezza che rallenta la realizzazione”, commenta Arun Bansal, presidente e responsabile dei mercati per Ericsson Europa e America latina.

Per il manager rischia di ripetersi il copione del 4G, il cui ritardo ha rappresentato un ostacolo allo sviluppo di un’app economy europea. Già ora, anche in Europa, aziende che non si occupano di telecomunicazioni si stanno facendo avanti per avere la loro fetta di 5G con cui sperimentare nuovi prodotti, servizi o tecnologie. In Germania sono state assegnate le prime frequenze e anche in Italia non è più argomento tabù.

L’esitazione oggi potrebbe costare doppiamente caro, perché alle lezioni dagli errori passati si sommano gli effetti dell’emergenza Covid-19. “La crisi del coronavirus ha sottolineato la necessità di avere connettività ad alta capacità, così come continui investimenti nelle infrastrutture digitali”, osservano dalla Commissione. A maggior ragione con fondi europei per la ripresa destinati al digitale. “In questo contesto, uno sviluppo fluido e sicuro delle reti 5G è essenziale ed è caldamente raccomandato di evitare ogni ritardo nelle gare per le frequenze”, sottolineano da Bruxelles.

In Italia, per esempio, dove le reti sono state assegnate tutto in blocco e con un esborso non indifferente, il Piano nazionale di ripresa e resilienza punta sul tocco benefico del 5G e delle reti Vhcn (very high capacity network). “Il governo ha messo al centro la transizione digitale. Durante la fase di emergenza le società di telecomunicazioni si sono dimostrate pronte e resilienti, ora la sfida è lavorare sui servizi e generare ricchezza”, commenta Laura Di Raimondo, direttore generale di Asstel, associazione di categoria della filiera delle telecomunicazioni. In generale, per Ericsson i tempi lunghi per installare le antenne (fino a 18 mesi) e la frammentazione di norme sono un problema in tutto il Vecchio continente.

Problema numero due: le fake news

Di contro, il Belpaese deve fare i conti con regole più stringenti della media europea in termini di emissioni (di cui si sta discutendo in Parlamento e sul quale Asstel, dice Di Raimondo, sollecita un “intervento di concertazione guidato dal governo, senza dibattito ideologico”), un piano di switch-off delle televisioni che svincola alcune frequenze solo dal 2022 e gli strascichi giudiziari della stagione dei Comuni no 5G.

Capitolo chiuso dopo il decreto Semplificazioni della scorsa estate, ma che ancora attechisce. In Europa, nonostante la campagna anti-fake news della Commissione e il tentativo dei social network di fare piazza pulita post che fanno disinformazione, in Bulgaria e Francia vi sono resistenze alle nuove reti. Una campagna la cui regia occulta si è fatta risalire a governi interessati a mettere in crisi il già lento cammino dell’Europa al 5G.

Problema numero tre: la cybersecurity

Al centro delle tensioni c’è la sicurezza delle nuove reti. Nel mirino sono finiti da mesi la Cina e i suoi campioni della telefonia, fornitori della tecnologia con le compagnie europee stanno costruendo le reti. L’Unione si è mossa in ordine sparso, con divieti locali. La Commissione ha sì stabilito un approccio generale e richiesto a ogni Stato la sua strategia (due ancora mancano), ma di fatto l’applicazione è in corso e un primo rapporto, fa sapere un portavoce, “sui progressi dell’implementazione è atteso per la fine di aprile 2022”. Peraltro, come calcolato da uno studio internazionale a cui partecipato il Cefriel, centro per l’innovazione digitale del Politecnico di Milano, lo sviluppo del 5G rischia di presentare conti inattesi pe 16 miliardi di euro dal 2024.

L’industria delle telecomunicazioni ora guarda al modello Open Ran (Radio access network): rendere interoperabili i sistemi di rete per far sì che un operatore si possa rivolgere a più fornitori, senza dipendere da uno soltanto. Per le compagnie di telefonia potrebbe essere un modo per arginare i soggetti considerati a rischio cybersecurity nello sviluppo del 5G. La Commissione, tuttavia, teme che l’innamoramento possa costare ritardi, perché implicherebbe un ripensamento dalle fondamenta delle attuali reti.

Questa è un’opzione a medio e lungo termine e non dovrebbe ritardare i tempi di sviluppo”, spiega il portavoce: “La Commissione sta lavorando con gli Stati su un approccio comune verso la diversità di fornitori”, con l’obiettivo di avere “una comprensione maggiore dell’Open Ran e di altre soluzioni di rete basate sui software, da un punto di vista di sicurezza informatica”. Tanto che sono in arrivo sostegni alle ricerche dai programmi Horizon e Digital Europe. Per Bansal, “l’architettura delle reti continuerà a evolvere e l’Open Ran maturerà come come ogni altra tecnologia, quando gli standard saranno armonizzati in tutto il mondo. Open Ran oggi è un forum dove c’è anche Ericsson e la nostra speranza è che possa evolvere in un unico standard che favorisca l’implementazione di un portfolio di soluzioni globale. Ma si parte da una architettura cloud, dove oggi disaggreghi l’hardware dal software e inizi a implementare il 5G oggi”.

Problema numero quattro: il 6G

Mentre fa i conti con i ritardi sul 5G, l’Europa non deve perdere di vista il prossimo traguardo: il 6G. All’inizio di giugno la Cina ha confermato il lancio commerciale della sesta generazione di reti mobili nel 2030. La Commissione ha sviluppato la sua proposta di regole. E si stanno finanziando programmi di ricerca. Come quelli guidati dal centro di eccellenza del 6G all’università di Oulu, Finlandia, o il progetto Hexa-X, durata due anni e mezzo: lo guida Nokia e lo sostengono 25 partner, tra cui Tim.

La compagnia italiana lavora a un progetto dedicato alle superfici riflettenti riconfigurabili, da usare per far rimbalzare il segnale da un punto, per esempio un’auto a guida autonoma, a un altro anche in angoli ciechi, dove si rischierebbe di perdere il contatto (con tutte le conseguenze del caso, se pensiamo a una strada). Sul 6G si stanno muovendo le pedine per creare alleanze. Ericsson, per esempio, ha annunciato un accordo con il Massachusetts institute of technology. Secondo gli analisti di Counterpoint research il 6G segnerà l’era della Tera economy, in cui il concetto di gigabit verrà sostituito da quello di terabit (un tera è pari a 1.000 gigabit). La sesta generazione raggiungerà una velocità massima di terabit al secondo, 0,1 millisecondi di latenza e un’efficienza energetica dieci volte superiore al 5G.

Il futuro sarà l’internet dei sensi: manipolare oggetti a distanza con realtà aumentata e virtuale, aggiungere audio spaziali, profumi e sapori all’esperienza digitale”, vaticina Magnus Frodigh, a capo della ricerca di Ericsson. Test che già con il 5G potranno essere condotti, ma che diventeranno realtà solo con il 6G. Sempre di più a connettersi saranno macchine che comunicheranno con altre macchine, ciascuna dotata di sistemi di intelligenza artificiale che genereranno enormi quantità di dati.

Spiega Fodrigh che fino al 2025 molto rimarrà nel campo della sperimentazione teorica. Ma, avverte Fodrigh, “l’Europa deve fare un passo in avanti, è fondamentale per il suo futuro”. Anche perché gli altri non sono fermi: Stati Uniti e Cina stanno investendo a loro volta nella ricerca sul 6G per farsi trovare preparati.

Tuttavia, per fare il 6G occorre avere chiuso l’anello precedente. “Completare la transizione a 5G e fibra è il prerequisito per una futura leadership nel 6G. Inoltre, è fondamentale sedere al tavolo dei progetti di ricerca europei, per influenzare sia la visione di lungo termine che gli standard globali”, osserva Alessandro Gropelli, direttore strategia e comunicazione dell’associazione degli operatori di telecomunicazione europei (Etno). Da questo punto di vista, aggiunge, “l’Italia e l’Europa sono all’avanguardia nelle applicazioni industriali per la connettività. Su questo si può costruire un ecosistema 6G che sia competitivo a livello globale”. Però, dice Gropelli, “politica e regolamentazione devono aiutare gli operatori di telecomunicazioni ad accelerare gli investimenti in 5G e fibra. Tecnologie come 6G e intelligenza artificiale pongono l’Europa di fronte a una scelta: o permettiamo più flessibilità legislativa per creare un ecosistema europeo, o ci rimarrà solo l’opzione di comprare l’innovazione degli altri e poi regolamentarla”. Un bivio davanti al quale l’Europa non può più esitare.

Articolo a cura di Luca Zorloni, Wired

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